La Cassazione torna sul danno parentale

di STEFANO ROSSI -

CASS. CIV., III sez., 11 novembre 2019, n. 28989

 

La Cassazione torna sul danno parentale

Da tempo la giurisprudenza ha elaborato la figura del danno da perdita parentale, risarcibile ai familiari di una persona deceduta a causa del fatto illecito altrui, delineandolo come “quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. civ., sez III, ord., n. 9196/2018).

In definitiva, il danno da perdita del rapporto parentale viene a configurarsi come un danno di natura non patrimoniale che un soggetto subisce, in conseguenza dell’attività illecita posta in essere da un terzo ai danni di altra persona legata alla prima da un rapporto di natura familiare e/o affettiva, il che ha determinato lo stravolgimento di un sistema di vita che trovava le sue fondamenta nell’affetto e nella quotidianità di tale rapporto, nonché una sofferenza interiore derivante dal venir meno dello stesso (Cass. civ., sez. III, n. 23469/2018; Cass. civ., sez. III, n. 901/2018; Cass. civ., sez. III, n. 7513/2018)

Secondo la Cassazione, nella sentenza 11 novembre 2008 n. 26972, il danno da perdita del rapporto parentale, quale forma di  danno non patrimoniale, rientra in una “nozione unitaria che comprende il danno da lesione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente tutelati, tra i quali è primario il diritto all’esplicazione della propria personalità mediante lo sviluppo dei propri legami affettivi e familiari, quale bene fondamentale della vita, protetto dal combinato disposto degli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione”. Tuttavia, in giurisprudenza si è precisato che “il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto, quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse (ovvero non è in re ipsa) e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base di elementi obbiettivi che è onere del danneggiato fornire” (Cass. civ., sez. III, n. 907/2018).

Cosicchè la mera titolarità di un rapporto familiare o anche di convivenza non determinano automaticamente il diritto al risarcimento del danno, dovendo i congiunti “provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità (…) non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare” (Cass. civ., sez. III, n. 21230/2016). In questa prospettiva si è riconosciuta la legittimazione ad agire per il risarcimento a favore dei nipoti per la morte dei nonni con essi non conviventi (Cass. civ., sez. III, n. 21230/2016), del concepito nato successivamente alla morte del genitore (Cass. civ., sez. III, n. 9700/2011) e al coniuge anche legalmente separato, in ragione della pregressa esistenza del rapporto affettivo (Cass. civ., sez. III, n. 25415/2016).

La liquidazione del risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, trattandosi di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., avviene “in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti ed ogni altra circostanza allegata” (Cass. civ., sez. III, ord. n. 907/2018). In particolare nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve valutare tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione) quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto). Vi è da sottolineare che la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed eccezionali (Cass. civ., sez. III, n. 23469/2018).

Nella recente sentenza n. 28989/2019, la Corte di Cassazione, dopo aver rigettato numerosi punti del ricorso di un’azienda sanitaria, ha accolto la doglianza inerente la locupletazione, poiché la Corte d’Appello che aveva emesso la sentenza impugnata, aveva riconosciuto agli eredi di una persona defunta per errore medico, il danno da perdita del rapporto parentale oltre ad un’ulteriore maggiorazione a titolo di danno morale soggettivo.

“Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di persona cara, la congiunta attribuzione del danno morale (non altrimenti specificato) e del danno da perdita del rapporto parentale costituisce indebita duplicazione di risarcimento, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita (sul piano morale soggettivo), e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita (sul piano dinamico-relazionale), rappresentano elementi essenziali dello stesso complesso e articolato pregiudizio, destinato ad essere risarcito, sì integralmente, ma anche unitariamente. Allo stesso modo, in virtù del principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, deve escludersi che al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno esistenziale, poichè il primo già comprende lo sconvolgimento dell’esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca (Sez. 3, Ordinanza n. 30997 del 30/11/2018)” (Cass. civ., sez. III, n. 28989/2019).

Le esigenze di integralità e di unitarietà del risarcimento vengono a delimitare i contorni del compito liquidatorio del giudice in caso di danno non patrimoniale, precisando come la considerazione separata delle componenti del pur sempre unitario concetto di danno non patrimoniale, intanto è ammessa, in quanto sia evidente la diversità del bene o interesse oggetto di lesione (Cass. civ., sez. III, n. 11851/2015; Cass. civ., sez. III, n. 9320/2015). Tali principi hanno trovato ulteriore conferma nelle conclusioni di cui alla sentenza in commento, là dove si è stabilito, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, come costituisca duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno dinamico-relazionale, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale). Non costituisce invece duplicazione la congiunta attribuzione del danno biologico e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (Cass. civ., sez. III, ord. n. 7513/2018; Cass. civ., sez. III, ord. n. 23469/2018). Ciò posto, in caso di risarcimento del danno da perdita, o da lesione, del rapporto parentale, ferma la possibilità per la parte interessata di fornire la prova di tale danno con ricorso alla prova presuntiva, e in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza e alla gravità delle ricadute della condotta (Cass. civ., sez. III, ord. n. 11212/2019), spetterà al giudice il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, dell’eventuale sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale in precedenza delineati. È in tale quadro che emergerà il significato e il valore dimostrativo dei meccanismi presuntivi che, al fine di apprezzare la gravità o l’entità effettiva del danno, richiamano il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) secondo una progressione che, se da un lato, trova un limite ragionevole (sul piano presuntivo e salva la prova contraria) nell’ambito delle tradizionali figure parentali, dall’altro non può che rimanere aperta alla libera dimostrazione della qualità di rapporti e legami parentali che, benchè di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all’eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva e/o esistenziale. Così come ragionevole apparirà la considerazione, in via presuntiva, della gravità del danno in rapporto alla sopravvivenza di altri congiunti o, al contrario, al venir meno dell’intero nucleo familiare del danneggiato; ovvero, ancora, dell’effettiva convivenza o meno del congiunto colpito con il danneggiato (così, in tema di rapporto tra nonno e nipote, Cass. civ., sez. III, n. 21230/2016) o, infine, di ogni altra evenienza o circostanza della vita (come, ad es., l’età delle parti del rapporto parentale) che il prudente apprezzamento del giudice di merito sarà in grado di cogliere. Rimangono, in ogni caso, fermi i principi che presiedono all’identificazione delle condizioni di apprezzabilità minima del danno, nel senso di una rigorosa dimostrazione (come detto, anche in via presuntiva) della gravità e della serietà del pregiudizio e della sofferenza patita dal danneggiato, tanto sul piano morale-soggettivo, quanto su quello dinamico-relazionale, sì che, ad esempio, nel caso di morte di un prossimo congiunto, un danno non patrimoniale diverso e ulteriore rispetto alla sofferenza morale (rigorosamente comprovata) non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell’attore allegare e provare. Tale onere di allegazione, peraltro, va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Cass. civ., sez. III, n. 21060/2016). Rimane, infine, altresì ferma la netta distinzione tra il descritto danno da perdita, o lesione, del rapporto parentale e l’eventuale danno biologico che detta perdita o lesione abbiano ulteriormente cagionato al danneggiato, atteso che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti, oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della onnicomprensività” della liquidazione – di liquidazione unitaria (Cass. civ., sez. III, n. 21084/2015).

STEFANO ROSSI

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