Sulla “retroattività” dei nuovi criteri di valutazione del danno biologico nell’ambito della responsabilità medica

di STEFANO CORSO -

CASS., CIV., III sez., 11 novembre 2019, n. 28990

 

Sulla “retroattività” dei nuovi criteri di valutazione del danno biologico nell’ambito della responsabilità medica

Non intervenendo a modificare con efficacia retroattiva gli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile (negando od impedendo il risarcimento di conseguenze dannose già realizzatesi), il d.l. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3, comma 3, convertito, con modificazioni, nella l. 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. legge Balduzzi che dispone l’applicazione, nelle controversie concernenti la responsabilità – contrattuale od extracontrattuale – per esercizio della professione sanitaria, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale secondo le Tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 del CAP – criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, confermati anche dalla successiva l. 8 marzo 2017, n. 24 c.d. Gelli-Bianco –), trova diretta applicazione in tutti i casi in cui il Giudice sia chiamato a fare applicazione, in pendenza del giudizio, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, con il solo limite della formazione del giudicato interno sul quantum.

Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza 11 novembre 2019, n. 28990. È così completato: non è ostativa, infatti, la circostanza che la condotta illecita sia stata commessa, ed il danno si sia prodotto, anteriormente alla entrata in vigore della legge, o che l’azione risarcitoria sia stata promossa prima dell’entrata in vigore del predetto decreto legge; né può configurarsi una ingiustificata disparità di trattamento tra i giudizi ormai conclusi ed i giudizi pendenti, atteso che proprio e soltanto la definizione del giudizio – e la formazione del giudicato – preclude una modifica retroattiva della regola giudiziale a tutela della autonomia della funzione giudiziaria e del riparto delle attribuzioni al potere legislativo e al potere giudiziario. Neppure può ravvisarsi una lesione del legittimo affidamento in ordine alla determinazione del valore monetario del danno non patrimoniale, in quanto il potere discrezionale di liquidazione equitativa del danno, riservato al Giudice di merito, si colloca su un piano distinto e comunque al di fuori della fattispecie legale della responsabilità civile: la norma sopravvenuta non ha, infatti, modificato gli effetti giuridici che la legge preesistente ricollega alla condotta illecita, né ha inciso sulla esistenza e sulla conformazione del diritto al risarcimento del danno insorto a seguito del perfezionamento della fattispecie.

La vicenda giudiziale traeva origine da un caso di malpractice medica, costituito da un’errata diagnosi e cura di una minore affetta da sindrome di Bartter, interpretata invece dai sanitari come morbo di Hirschsprung. La Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della pronuncia del giudice di prime cure, impugnata sia dai genitori della piccola che dai medici, liquidava il danno biologico patito dalla bambina applicando l’art. 3, comma 3, del d.l. n. 158 del 2012 (c.d. decreto Balduzzi), convertito con modificazioni in l. n. 189 del 2012, che rinvia ai criteri di determinazione del quantum previsti dal d.lgs. n. 209 del 2005 e ss. mm., agli artt. 138 e 139, dettati per i danni derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione di veicoli.

La S.C., chiamata a pronunciarsi su ricorso dei genitori della minore, ha avuto occasione di dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in relazione all’applicabilità dei criteri contemplati dal Codice delle assicurazioni private, siccome richiamati dal decreto Balduzzi nel citato art. 3, con disposizione ripresa pressoché in modo uguale dalla l. n. 24 del 2017 (c.d. legge Gelli-Bianco) all’art. 7, comma 4, ai casi in cui il giudice debba liquidare in via equitativa il danno non patrimoniale con riferimento a fatti accaduti in epoca anteriore all’entrata in vigore della normativa.

Una parte della giurisprudenza, infatti, considerava inapplicabile la disciplina di cui al decreto Balduzzi per la quantificazione del danno biologico qualora i fatti fossero avvenuti (e la causa iniziata) «prima dell’entrata in vigore della l.189/2012 e non recando la norma suddetta (art. 3 comma 3) disposizioni transitorie, per cui non [sarebbe consentita] una deroga al principio di irretroattività della legge di cui all’art. 11 disp. prel. c.c.». Altra parte della giurisprudenza, invece, riteneva di applicare il regime richiamato dal menzionato art. 3 anche con riguardo ad accadimenti anteriori alla sua entrata in vigore.

La Cassazione osserva, in primo luogo, come non si verta qui in tema di successione di leggi che regolano diversamente il medesimo fenomeno, poiché la eventuale discrasia corre non tra diverse disposizioni di legge, bensì tra una disposizione, nuova e una prassi giurisprudenziale finalizzata all’esercizio uniforme della discrezionalità nel giudizio di equità, come tale priva di forza di legge. Inoltre, la norma sopravvenuta del d.l. n. 158/2012 non disciplina la fattispecie costituiva del diritto sostanziale, ma definisce – in materia di responsabilità medica – l’ambito delle modalità di esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno dato al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. e per questo è direttamente applicabile nei limiti in cui tale potere sia ancora esercitabile nel corso del processo che non sia ancora definito. Il nuovo precetto non viene ad incidere neppure su quegli elementi valutativi determinanti ai fini dell’accertamento dell’entità del danno biologico, lasciando intatto pure il criterio di rivedibilità del “valore-punto” secondo rilevazioni statistiche periodiche della casistica giudiziaria, parametro di valutazione che non individua un elemento ulteriore costitutivo della fattispecie della responsabilità civile, non integra cioè un fatto storico o un elemento normativo presupposti dell’affermazione dell’imputazione del danno, ma rappresenta solo l’espressione della misura monetaria della perdita di validità biologica ritenuta più adeguata.

In secondo luogo, rileva che il perfezionamento della fattispecie sostanziale dell’illecito civile, che produce l’effetto giuridico del sorgere dell’obbligazione risarcitoria in capo al responsabile, è cosa ben diversa dall’accertamento dell’equivalente monetario della conseguenza dannosa che ha esaurito il perfezionamento della fattispecie illecita. Certo il principio di irretroattività della legge impedisce al legislatore di intaccare gli effetti giuridici già interamente prodottisi, ma non si incontra un limite di irretroattività se la norma generale ed astratta successiva venga ad incidere su di un rapporto giuridico ancora in corso di esecuzione, o, come nella specie, ancora controverso, regolando o definendo le modalità di apprezzamento del valore monetario equivalente di un bene perduto che deve essere risarcito.

E così nemmeno vale, per predicare l’irretroattività della disciplina, l’argomentazione basata sulla distinzione fra norme di diritto processuale e norme di diritto sostanziale.

Ribadiscono i giudici di legittimità come «tale intervento legislativo, proprio perché non va ad incidere su alcuno degli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisite nel patrimonio del soggetto, e dunque è insuscettibile di ledere l’affidamento riposto dai soggetti di diritto nella stabilità dei rapporti già insorti ed esauriti e nella prevedibilità degli effetti giuridici che la legge preesistente ricollega a determinati fatti o condotte. La norma sopravvenuta si rivolge esclusivamente al Giudice delimitandone l’ambito di discrezionalità nella liquidazione del danno con criterio equitativo e indicando quale più adeguato il criterio tabellare, onde porre al riparo l’esercizio del potere giurisdizionale – conformatosi al criterio legale – da eventuali critiche in diritto per violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., volte a contestare la arbitrarietà, illogicità od assenza di motivazione della quantificazione del danno non patrimoniale».

La S.C evidenzia altresì come la disciplina legislativa sopravvenuta non sconfessi le classificazioni di “voci” e “tipi” di danno risarcibile, né i principi di diritto concernenti la funzione reintegrativa del risarcimento del danno, o il fondamento egualitario della modalità di ristoro del danno alla salute, ma anzi, proprio confermandoli tramite il richiamo all’art. 138 del d.lgs. n. 209/2005, venga a riconoscere la correttezza ed adeguatezza del criterio tabellare in quanto portato della precedente elaborazione giurisprudenziale in materia.

STEFANO CORSO

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