di ROBERTO PUCELLA -
CASS., CIV., III sez., 11 novembre 2019, n. 28993
Sulla risarcibilità del danno da perdita di chance
Con la pronuncia n. 28993 la Cassazione torna ad occuparsi del danno da perdita di chances, in sintonia con i principi già affermati nella precedente decisione – e più volte richiamata – n. 5641 del 2018.
La fattispecie, unica nel suo doloroso epilogo, appartiene ad una classe di vicende molto diffuse: si discute se il decesso di una paziente – operata per un tumore al timo – sia causalmente ricollegabile a negligenza medica e se, eventualmente e in subordine, si possa ritenere che la malpractice le abbia fatto perdere delle chances di sopravvivenza.
La Corte, dopo avere ricondotto la chance perduta per fatto del medico alla categoria della chance c.d. “non pretensiva”, a carattere non patrimoniale, evidenzia come vada superata l’equivoco lessicale che porta a confondere la probabilità come strumento di determinazione della relazione causale con la probabilità come oggetto della lesione conseguente all’atto sanitario negligente.
Per contro la chance risarcibile si identifica, per la Corte, nella possibilità perduta di un risultato migliore; viene così meno il senso della distinzione tra chance c.d. “ontologica” e chance c.d. “eziologica”.
Sul piano della corretta individuazione del diritto leso, la chance non può rappresentare un’entità concettualmente distinta dal “risultato finale”, dal momento che la condotta dell’agente è pur sempre destinata a rilevare sul piano della lesione del diritto alla salute (o del diritto all’autodeterminazione terapeutica).
La chance, osserva la Corte, si sostanzia nell’incertezza del risultato, la cui perdita costituisce l’evento di danno, inteso anche in termini di possibilità di “battersi” consapevolmente per un esito più favorevole dell’evolversi della malattia.
Ne consegue che tutte le volte in cui la condotta negligente del sanitario abbia determinato, in applicazione dell’ordinario criterio di accertamento del nesso eziologico basato sulla regola del “più probabile che non”, la morte del paziente o una riduzione della durata della sua vita o un peggioramento della qualità della stessa, non di perdita di chances di sopravvivenza sarà dato di discutere, non potendo incidere sulla qualificazione dell’evento l’equivoco lessicale che richiami la perdita della “possibilità” di una vita più lunga e migliore.
In tali casi il giudice dovrà riconoscere il risarcimento nella sia pienezza, condannando, alternativamente, i sanitari a risarcire il danno da morte o da riduzione della durata della vita o da perdita di qualità della stessa.
Del pari – e all’opposto – non sarà dato di discutere di chances perdute tutte le volte in cui l’indagine causale condurrà a concludere per la non riferibilità della morte (o dell’abbreviazione della vita o del deterioramento della qualità della stessa) all’atto del sanitario.
Al giudice non resterà che rigettare la domanda risarcitoria senza nulla riconoscere di ulteriore o di diverso al paziente sfortunato.
Solamente nell’ipotesi in cui la condotta colpevole del sanitario abbia determinato un evento di danno incerto, nel senso che le conclusioni del CTU siano espresse in termini di insanabile incertezza, allora sarà dato di configurare un danno da perdita di chances, quale possibilità perduta di un risultato sperato, la cui risarcibilità consente di temperare il criterio risarcitorio dell’all or nothing.
Per integrare gli estremi del danno risarcibile la chance dovrà attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico/percentuale potrà costituire solamente criterio orientativo, onde distinguere la concreta possibilità dalla mera speranza.
ROBERTO PUCELLA
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