Omessa informazione circa le malformazioni al feto e danno da mancata interruzione di gravidanza

di Francesca Cerea -

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2150 del 25.1.2022, viene ad occuparsi della responsabilità della Struttura sanitaria per la nascita di un bambino privo del piede sinistro e del terzo medio della gamba sinistra.

Nel caso di specie una donna in stato di gravidanza si sottoponeva a due ecografie durante le quali i sanitari non si avvedevano della presenza di biglie ostruttive amniotiche le quali comportavano una serie di malformazioni al feto. A fronte della mancata diagnosi la donna non si avvaleva del diritto di interrompere la gravidanza e il nascituro non poteva beneficiare di un intervento chirurgico prenatale potenzialmente idoneo a prevenire le malformazioni. I genitori del neonato agivano, pertanto, in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni patiti.

Il giudice di prime cure accoglieva la domanda degli attori sia nei confronti della Struttura che nei confronti del medico convenuto.

La Corte di Appello riformava, invece, parzialmente la decisione del Tribunale dichiarando l’esclusiva responsabilità della Struttura sanitaria nella causazione del danno, ritenendo corretta la scelta del medico (ginecologo di fiducia della donna) di non procedere all’esecuzione di una ecografia morfologica il giorno prima di quella fissata presso il nosocomio convenuto, centro specializzato in materia.

Avverso tale decisione la Struttura sanitaria e i genitori della neonata proponevano ricorso per Cassazione.

In particolare, il nosocomio si duole della mancanza dei presupposti di operatività dell’art. 6 l. n. 194/1978 non essendo idonea la malformazione da cui è affetto il neonato a rappresentare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre tale da giustificare l’interruzione della gravidanza giunta ormai oltre il novantesimo giorno. Inoltre, secondo l’ospedale, non risulta comunque raggiunta la prova della volontà della gestante di interrompere la gravidanza ove correttamente informata delle condizioni del feto.

Quanto al primo profilo, i giudici di legittimità, richiamando una serie di precedenti in materia, ribadiscono come debba stabilirsi in base al criterio del “più probabile che non” e con valutazione prognostica correlata all’epoca della gravidanza se, a seguito dell’omessa informazione, sarebbe insorto uno stato depressivo suscettibile di essere qualificato come grave pericolo per la salute psichica della donna. Ciò premesso, la Corte aderisce alla valutazione offerta in concreto dal giudice di merito, il quale desume dalla gravità delle malformazioni il rischio di un grave pericolo per la serenità psichica della donna, tenuto altresì conto della decisione della stessa di effettuare l’amniocentesi, nonostante i rischi intrinseci all’operazione stessa, e la richiesta di ispezionare specificatamente gli arti inferiori avanzata al ginecologo che aveva provveduto all’ecocardiografia fetale.

Per ciò che attiene alla seconda doglianza la Corte ritiene che il giudizio di fatto abbia rispettato le coordinate giuridiche in materia, avendo ritenuto raggiunta la prova della volontà di interrompere la gravidanza desumendola non solo dalla scelta di sottoporsi all’amniocentesi ma anche dalle dichiarazioni rese in sede di CTU.

Infine, quanto al ricorso dei genitori del neonato, gli stessi si dolgono del fatto che il giudice di appello ha circoscritto la liquidazione del danno nei limiti del maggior costo rispetto ad un figlio sano sulla base dell’argomento che comunque un figlio era da loro desiderato. La Corte, ritenuta la violazione dell’art. 1223 c.c., accoglie il motivo e rinvia alla Corte di Appello per la corretta liquidazione del danno da nascita indesiderata, non potendo escludersi la parte dei costi che si sarebbero sostenuti in presenza di figlio sano perché appunto la nascita non era desiderata e i costi, da liquidare per l’intero ricorrendone le condizioni, derivano da un figlio non desiderato.

Cass. 25.1.2022, n. 2150 – oscurata