Danno da errata manovra chirurgica e efficacia della sentenza penale di assoluzione del medico nel processo civile

di Francesca Cerea -

Con la sentenza in commento la Corte d’Appello di Napoli si è pronunciata sul gravame proposto dalle eredi di un paziente, deceduto nelle more del giudizio di primo grado, la cui domanda di risarcimento nei confronti del chirurgo e della Struttura ospedaliera per le gravi conseguenze invalidanti derivate da un intervento di uretrotomia era stata respinta.

Il Tribunale aveva infatti accertato, a mezzo di una CTU, la grave negligenza del chirurgo nel corso dell’intervento, da cui era derivata la lacerazione del retto del paziente e la conseguente fistola, suturata tardivamente nel corso di una seconda operazione. Tuttavia, a fronte dell’assoluzione piena del medico passata in giudicato in un parallelo giudizio penale, il giudice dichiarava l’effetto preclusivo di tale pronuncia rispetto ad una valutazione di segno contrario sul piano della responsabilità civile.

Le appellanti lamentavano, dunque, la circostanza che il giudice di primo grado, dopo aver riconosciuto la responsabilità del medico e del nosocomio, avesse rigettato la domanda attorea applicando erroneamente le disposizioni del codice di procedura penale circa l’efficacia della sentenza penale irrevocabile di assoluzione nel processo civile.

Il giudice del gravame accoglie il motivo di appello sottolineando che «il giudicato di assoluzione può avere effetto preclusivo nel giudizio civile (tanto di danni ex art. 652 c.p. quanto negli altri giudizi civili ex art. 654 c.p.) soltanto qualora contenga un effettivo e specifico accertamento della insussistenza del fatto o della mancata partecipazione (soggettiva o causale) dell’imputato al suo verificarsi (art. 530 com. 1 c.p.p.)».

Nel caso di specie, invece, la consulenza tecnica svolta nel corso del giudizio penale aveva accertato la negligenza del medico (eccessiva pressione esercitata per vincere la resistenza del tratto stenotico e conseguente perforazione) e l’esistenza di esiti invalidanti (incontinenza urinaria, mai riscontrata prima), ma non era stata in grado di ricondurli con certezza all’operazione, avendo il paziente un quadro già compromesso da un precedente intervento alla prostata (con conseguente accorciamento dell’uretra) e da una radioterapia che aveva indebolito i tessuti.

Ciononostante, osserva la Corte, dovendo il giudice civile applicare la regola causale del “più probabile che non” – in luogo del criterio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” tipico del processo penale – e tenendo conto delle risultanze della CTU e delle osservazioni del CTP, è ragionevole ritenere che la perforazione dell’uretra e del retto sia da ricondurre alla censurabile manovra del chirurgo che, di fronte ad un tessuto che non mostrava alcuna pervietà, invece di fermarsi ha preferito insistere e procedere alla cieca con l’uretrotomo cagionando la lesione in questione; lesione che, peraltro, in considerazione della severità del quadro clinico e della suscettibilità dei tessuti indotta dai precedenti trattamenti radioterapici, era prevedibile ed evitabile.

Alla luce di tali rilievi la Corte riforma la sentenza impugnata, condannando la struttura sanitaria in solido con il chirurgo – e per lui, in manleva, le sue due assicurazioni – a corrispondere alle appellanti iure hereditatis a titolo di danno biologico e di spese mediche la somma di euro 121.122,99 oltre interessi legali dalla pronuncia al soddisfo, nonché le spese di lite e di CTU.

App. Napoli, 12.1.2024 -oscurata