Responsabilità risarcitoria del Ministero della Salute per trasfusioni di sangue infetto

di Nadia Busca -

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7088 del 15 marzo 2024 ha affrontato la questione della responsabilità del Ministero della Salute a fronte di trasfusioni di sangue infetto, cassando con rinvio la sentenza impugnata alla Corte d’Appello territorialmente competente.

Nel caso di specie, una donna ha contratto il virus HCV (c.d. epatite C) a seguito di una trasfusione eseguita nel 1974.

In grado di appello, i giudici del gravame hanno confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla paziente nei confronti del Ministero della Salute, ritenendo che all’epoca dei fatti non era ancora possibile avere una conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso il sangue infetto e che tale fatto risolutivo assurgeva a criterio di delimitazione temporale della responsabilità del Ministero.

La ricorrente, impugnando la sentenza di secondo grado, ha lamentato che la Corte d’Appello, pur avendo aderito al più recente orientamento di legittimità che individua la responsabilità del Ministero della Salute anche per trasfusioni di sangue infetto risalenti alla metà degli anni sessanta, avrebbe però deciso in senso difforme sull’erroneo rilievo che alla data di predisposizione del preparato di sangue infetto, poi trasfuso alla paziente, l’ipotesi di un virus non A e non B era ancora un’ipotesi in fase di studio.

La Suprema Corte, ritenendo il ricorso fondato, ha affermato che nel caso in esame si sarebbe dovuto accertare se, alla data della trasfusione praticata, la possibilità della veicolazione di virus attraverso il sangue infetto fosse oggetto di conoscenza scientifica oggettiva. Conoscenza che, tuttavia, non avrebbe dovuto riguardare necessariamente il virus dell’epatite C contratto dalla paziente, dal momento che ai fini dell’accertamento del nesso causale sarebbe stata sufficiente la stabilizzazione della conoscenza della possibilità di contagio anche mediante altro virus, come quello dell’epatite A o B. In altre parole, la Corte ha sancito che dalla sussistenza e dalla conoscenza del ceppo dell’epatite B già nel 1974 si sarebbe dovuta desumere l’informazione scientifica circa il rischio di trasmissione di epatite virale, nonché la possibilità di rilevazione indiretta del virus.

cass civ 15 marzo 2024 7088