Rilevanza delle lesioni coesistenti e delle lesioni concorrenti nell’accertamento del nesso di causalità giuridica e nella determinazione del danno differenziale.

di Patrizio Cataldo -

Un paziente, dopo aver subito un infarto del miocardio ed essere caduto a terra – sbattendo la testa – a causa del malore, veniva ricoverato con urgenza in pronto soccorso. Il personale sanitario procedeva con la somministrazione di terapia anticoagulante e antiaggregante ma, nonostante le cure ricevute, residuava una consistente invalidità permanente in capo all’assistito.

Il soggetto adiva in giudizio l’azienda sanitaria, lamentando una condotta negligente da parte dei medici per la mancata verifica della presenza di un trauma cranico, situazione incompatibile con la somministrazione della terapia antiaggregante. La sentenza di primo grado accoglieva in parte la domanda dell’attore, riconoscendo un risarcimento di circa 70.000 Euro, ammontare corrispondente alla porzione di invalidità permanente (20%, a fronte di una invalidità totale del 50%) imputabile secondo le risultanze della CTU alla condotta negligente dei sanitari.

La Corte di Appello rideterminava in Euro 214.000 l’ammontare dei danni, importo pari, secondo la ricostruzione dei giudici di secondo grado, alla differenza tra i corrispettivi legati all’ invalidità permanente complessiva e quelli connessi al ritardo nella sospensione del trattamento antiaggregante.

L’azienda sanitaria impugnava la sentenza di merito, lamentando, tra le altre cose, la scorretta quantificazione del c.d. danno differenziale da parte della Corte di Appello.

La Corte di Cassazione ha dato atto che il giudice di appello ha identificato correttamente i criteri da applicare per la quantificazione del danno differenziale. Infatti qualora un soggetto, già affetto da una condizione di compromissione dell’integrità fisica, sia sottoposto ad un intervento eseguito in modo negligente, che determini un peggioramento dei danni che sarebbero, in ogni caso, residuati in capo al paziente, ai fini risarcitori occorre procedere come segue. In primo luogo è necessario tenere in considerazione l’invalidità permanente effettivamente risultante, alla quale va sottratta la percentuale di invalidità comunque ineliminabile, in quanto non riconducibile alla responsabilità della struttura sanitaria.

Secondo la Suprema Corte, il giudice di secondo grado non ha, tuttavia, tenuto conto della differenza tra postumi coesistenti e postumi concorrenti e la rilevanza della stessa nella determinazione del risarcimento dei danni. Infatti ai fini della quantificazione del danno da lesione della salute occorre accertare se la situazione preesistente del soggetto leso abbia avuto, o meno, incidenza causale sulla sua condizione finale e, quindi, se essa possa considerarsi concorrente nella determinazione della situazione patologica derivante dalla condotta illecita del personale medico o semplicemente coesistente.

Trattandosi dell’accertamento del nesso di causalità giuridica, ciò che rileva è il giudizio controfattuale e, quindi, stabilire, con il metodo della prognosi postuma, quali sarebbero state le conseguenze dell’illecito, in assenza della patologia preesistente. Se tali conseguenze possono, in teoria, ritenersi identiche sia per la vittima reale che per un’ipotetica vittima sana prima dell’infortunio, dovrà concludersi che non sussiste alcun nesso di causa tra situazione preesistente e postumi, e pertanto l’invalidità andrà valutata e quantificata come se il danno sia stato subito da una persona sana, con conseguente riconoscimento integrale dell’invalidità permanente riscontrata.

Nel caso di specie il giudice di appello avrebbe dovuto valutare se le lesioni dovute all’ischemia concorressero ad aggravare le conseguenze permanenti dell’infarto, in quanto se si fosse trattato di lesioni coesistenti, prive di incidenza causale sulla situazione finale del paziente, l’appello avrebbe dovuto essere rigettato. La causa è stata pertanto rimessa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano la quale dovrà accertare se i postumi dell’infarto (e quindi quelli indipendenti dall’errore medico) e i postumi dell’ischemia celebrale (provocati dall’errore dei sanitari) siano in rapporto di concorrenza o di semplice coesistenza, calcolando di conseguenza la misura del danno differenziale.

cass. 30 luglio 2024 n 21261 oscurata