Trasfusione di sangue infetto e responsabilità del Ministero della salute per il danno da perdita del rapporto parentale

di Stefano Corso -

Una paziente scopriva nel 2006, con la diagnosi di epatocarcinoma da cirrosi epatica, di aver contratto il virus dell’epatite B, in occasione delle trasfusioni di sangue somministratele nel 1973, durante il ricovero ospedaliero. Quindi richiedeva l’indennizzo, ai sensi della legge n. 210 del 1992.

A seguito del suo decesso, avvenuto tre anni dopo, le figlie agivano in giudizio, nei confronti del Ministero della salute, domandandone la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale subito iure proprio.

Il giudice osserva, in primo luogo, che «la responsabilità del Ministero della Salute, in ipotesi di contagio di epatite B o C o del virus HIV tramite emotrasfusioni, ha natura aquiliana, trovando il proprio fondamento in un comportamento omissivo e, cioè, nell’inosservanza colposa dei doveri istituzionali di sorveglianza, di direttive e di autorizzazione in materia di produzione e commercializzazione di sangue umano ed emoderivati, che competono al Ministero in forza di un quadro normativo di carattere generale e specifico (cfr. L. n. 592 del 1967, D.P.R. n. 1256 del 1971, L. n. 519 del 1978, D.L. n. 443 del 1987)».

Richiamando la giurisprudenza di legittimità e costituzionale, precisa, infatti, che il Ministero non può considerarsi parte contrattuale del contratto di spedalità, concluso fra paziente e struttura, e la previsione di un diritto all’indennizzo, a carico dello Stato, non esclude qualsivoglia responsabilità aquiliana del Ministero stesso verso i danneggiati.

Nel caso di specie, il nesso di causalità tra le trasfusioni di sangue eseguite sulla paziente e la contrazione del virus è stato accertato in plurimi procedimenti, amministrativi e giudiziali, vertenti sulla medesima vicenda.

Si ribadisce, peraltro, riprendendo gli assunti della Suprema Corte, che la responsabilità del Ministero sussiste anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica dei virus HBV. HIV e HCV, e all’apprestamento dei relativi test identificativi (risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985 e 1988), poiché già dalla fine degli anni ’60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione, almeno indiretta, dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica, «gravando pertanto sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all’anno 1958, l’obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi».

Laddove il sangue trasfuso alla paziente fosse stato oggetto di controllo, quindi, con elevato grado di probabilità la stessa non avrebbe contratto l’infezione da HBV.

Il danno di cui è chiesto il risarcimento è il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.

Nel caso in esame, all’esito delle dichiarazioni dei testi escussi e in assenza di indici contrastanti, tale danno risulta presuntivamente provato.

Dunque la domanda è accolta e il Ministero della salute è condannato al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma di 254.974,20 euro, per ciascuna delle cinque figlie.

Tribunale L’Aquila, Sez. Unica, Sent., 6.9.2023, n. 572